IL BIOFEEDBACK PER L'IPERTENSIONE


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Indice:

 

  • Ipertensione: classificazione 2013

Secondo la classificazione proposta nelle Linee guida 2013 ESH/ESC per la diagnosi e il trattamento dell’ipertensione arteriosa, esistono diverse categorie di pressione arteriosa, ciascuna corrispondente a specifici range di pressione sistolica e diastolica, come illustrato nella tabella sottostante:

 

Tabella 1 - Classificazione ESH/ESC (2013)

Categoria

Sistolica (mm/Hg)

 

Diastolica (mm/Hg)

Ottimale

< 120

e

< 80

Normale*

120-129

e/o

80-84

Normale-alta*

130-139

e/o

85-89

Ipertensione di Grado 1

140-159

 

90-99

Ipertensione di Grado 2

160-179

e/o

100-109

Ipertensione di Grado 3

≥ 180

e/o

≥ 110

Ipertensione sistolica isolata

≥ 140

e

< 190

 

In base alle cause che la determinano inoltre l’ipertensione può essere suddivisa in due categorie diagnostiche:

  1. Ipertensione Primaria (essenziale, idiopatica),  quando non ci sono cause note associate (95% dei casi).
  2. Ipertensione Secondaria, quando altre condizioni mediche sono la causa della pressione alta, come ad esempio le malattie renali o le disfunzioni del sistema endocrino (rappresenta solo il 5% dei casi).

E' importane sottolineare il fatto che ben il 95% degli individui ipertesi soffrono della forma primaria o essenziale di ipertensione, e cioè di una patologia della quale non sono ancora note le cause dirette ma di cui sono noti alcuni importanti fattori di rischio.

Tra i fattori di rischio noti lo stress sembra svolgere un ruolo molto importante. Come vederemo diversi studi hanno dimostrato che la reattività della pressione arteriosa a stress psicologici di vario genere predice l'insorgenza dell'ipertensione essenziale a 4, 10 e 13 anni dal test.

 

  • Preipertensione = Pressione sanguigna "Normale"/"Normale-alta"

Secondo una più vecchia classificazione (JNC 7, 2003) le due categorie “Normale” e “Normale Alta” dell’attuale classificazione corrispondono ad una condizione denominata “preipertensione” ancora in uso e non più prevista nel JNC 8 (2014). La tabella sottostante illustra tale vecchia classificazione:

 

Tabella 2 - Classificazione JNC 7 (2003)

Condizione Pressoria

SBD mm/Hg (sistolica)

DBD mm/Hg (diastolica)

Normale

< 120

< 80

Preipertensione

120-139

80-89

Stadio 1

140-159

90-99

Stadio 2

160 e oltre

100 e oltre

La pre-ipertensione era dunque una condizione definita dalla presenza di una pressione sistolica compresa tra i 120 - 139 millimetri di mercurio (mm/Hg) e/o di una pressione diastolica tra gli 80-89 mm/Hg, che nella classificazione più recente ESH/ESC corrisponde alla pressione Normale e Normale-alta. Ciò che conta dire è che se non vengono messi in atto i necessari cambiamenti al proprio stile di vita (gestione dello stress, attività sportiva, alimentazione), la preipertensione può evolvere in ipertensione vera e propria.

Sia la preipertensione che l'ipertensione aumentano il rischio di disturbi cardiovascolari, seguendo la regola generale che quanto maggiore è il livello di pressione arteriosa (oltre il livello massimo ottimale), tanto maggiore è il rischio di sviluppare tali patologie.

L’ipertensione e gli altri fattori di rischio cardiovascolaeri possono potenziarsi a vicenda, risultando in un maggior rischio CV rispetto alla somma dei singoli componenti.

Non bisogna dunque attendere che la pressione alta, sebbene ancora entro i valori "normali", evolva in una forma di ipertensione; al contrario, anche nella "preipertensione" è importante intervenire subito a fini preventivi, sia per evitare l'evoluzione della condizione attuale in ipertensione vera e propria, sia per ridurre il rischio di disturbi cardiovascolari. Oltre dunque a modificare alcune brutte abitudini (alientazione scorretta), a perdere peso e a svolgere attività sportiva, si possono applicare le tecniche di biofeedback

 

  • Fattori di rischio dell'ipertensione

Il 95% delle persone con ipertensione soffre della forma cosiddetta "Primaria". Di quest'ultima non si conoscono le cause ma sono stati individuati alcuni importanti fattori di rischio, ossia condizioni la cui presenza aumenta la probabilità di sviluppare il disturbo. Vediamo quali sono i principali fattori di rischio dell'ipertensione:

 

-        età avanzata (oltre i 60 anni)

-          diabete mellito

-          dislipidemia (un disturbo del metabolismo dei grassi)

-          altri casi di ipertensione in famiglia

-          genere (> nei maschi e donne in menopausa)

-          fumo

-          fattori comportamentali, tra cui obesità e inattività fisica hanno il ruolo maggiore

-          uso di alcool e sodio

-          fattori psicosociali

 

  • Stress e ipertensione

Quando siamo sottoposti ad uno stressor (situazione o evento stressante) il nostro organismo mette in moto una serie di meccanismi neurobiologici e fisiologici atti a consentire al nostro corpo di far fronte nel modo migliore possibile allo stressor.

Le principali risposte fisiologiche dello stress sono:

  • aumento dell'attivazione dell'asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrenali) che determina il rilascio nel sangue degli ormoni dello stress (come l'adrenalina e i corticosteroidi);
  • aumento del ritmo cardiaco;
  • aumento del ritmo respiratorio;
  • aumento della pressione sanguigna;

Tutte queste risposte fisiologiche sono determinate da un'iperattivazione del Sistema Nervoso Simpatico e dalla simultanea riduzione o sospensione dell'attività parasimpatica (freno vagale) la cui attivazione invece svolge sul nostro organismo un'attività antagonista al Simpatico (come ad esempio la riduzione della frequenza cardiaca).

La domanda che ci poniamo è la seguente: c'è un collegamento tra stress e ipertensione?

Diversi studi hanno dimostrato che, negli individui normotesi, quanto più ampio è l'aumento della pressione arteriosa in risposta a varie tipologie di stressor psicologici tanto maggiore è la probabilità che tali individui sviluppino ipertensione essenziale nei 4-13 anni successivi al test (Matthews et al. 2004; Markovitz et al. 1998; Matthews et al. 1993; Murphy et al; 1992; Treber et al. 1997; Everson et al. 1996; Carroll et al. 1996).

Ad esempio Matthews e colleghi (2004) hanno condotto uno studio su più di 4000 persone normotese di età media di 27 anni alle quali veniva misurata la pressione sanguigna durante la presentazione di diversi stress psicologici e fisici; è risultato che le persone che di fronte agli stressor mostravano aumenti di pressione più grandi, a distanza di 4-13 anni hanno sviluppato una ipertensione essenziale.

Questi studi su larga scala dimostrano che tra l'iper-reattività degli individui agli stressor e lo sviluppo di ipertensione vi è una forte correlazione. Sulle ragioni per cui tali individui "iper-reattivii" sviluppino con maggiore probabilità ipertensione essenziale vi sono diverse ipotesi. Una delle più accreditate è descritta più avanti (clicca qui).

Di per sè la risposta psicofisiologica dello stress è "sana" e utile all'organismo sino a quando però la quantità delle risorse richieste non ecceda quella disponibile. Se dunque la situazione stressante si protrae eccessivamente nel tempo (condizioni lavorative pesanti, stress emotivi, lutto, ansia e depressione, ecc.) e con essa anche la reazione psicofisiologica allo stress, si attivano dei meccanismi compensatori che producono alterazioni stabili dei sistemi fisiologici coinvolti (cardiovascolare, respiratorio, muscolare, ghiandolare, ecc.); tali alterazioni a loro volta, negli individui predisposti, spesso producono vare tipologie di sintomi psicosomatici, come le cefalee, i dolori muscolari, la sindrome del colon irritabile, l'ansia e l'ipertensione.

Un segno che indica la presenza di un tale stato di alterazione è la capacità/velocità dei sistemi fisiologici alterati dallo stress cronico (ad es. pressione sanguigna e ritmo cardiaco) di tornare allo stato di riposo dopo la presentazione di uno stressor. Ciò è quanto possiamo verificare tramite il protocollo di biofeedback denominato "stress profile" o profilo psicofisiologico, che consiste nel sottoporre l'individuo ad una misurazione di diverse variabili fisiologiche (pressione sanguigna, ritmo cardiaco, tensione muscolare, elettroencefalogramma, elettromiogramma, conduttanza cutanea, ecc.) durante la presentazione di diversi stressor di moderata intensità (filmati, immagini, compiti di ragionamento o memoria, immaginazione).

Se alla cessazione dello stressor uno o più sistemi fisiologici monitorati non tornano rapidamente ai livelli basali, ciò implica che quei sistemi hanno subito alterazioni adattive in risposta allo stress (cronico) che causano il sintomo (pressione alta, aritmie, cefalee, ecc.) e che si possono correggere con un adeguato training di biofeedback.

Grazie al Biofeedback la persona che soffre di pressione alta impara a riconoscere e a controllare sia la risposta psicofisiologica allo stress che la pressione sanguigna in modo specifico.

 

  • Biofeedback e Ipertensione

Il Biofeedback si è dimostrato efficace sia nel trattamento della "preipertensione" (Lin et al. 2012) che dell'ipertensione primaria (o essenziale).

Numerosi studi condotti negli ultimi decenni (Brook et al. 2013; Oneda et al. 2010; Yucha et al 2001; Yucha e Gilbert 2004; Nakao et al. 2003; Nakao et al., 1997; Del Pozo et al. 2004; Herbs et al. 1993; McCraty et al. 2003; Elliot et al. 2004; Joseph et al. 2005) e di elevato calibro scientifico hanno dimostrato che il Biofeedback è efficace nel trattamento dell'ipertensione, in particolare di quella la cui eziologia comprende problemi legati allo stile di vita e, soprattutto, allo stress.

I pazienti sottoposti al trattamento con biofeedback hanno mostrato una riduzione significativa della pressione sanguigna con conseguente riduzione o sospensione dell'assunzione dei farmaci ipertensivi.

Secondo l'American Hearth Association il Biofeedback dovrebbe essere considerato nella pratica clinica come strumento per l'abbassamento della pressione sanguigna (Brook et al. 2013).

Vediamo ora una breve rassegna dei principali studi a supporto dell'efficacia del biofeedback nel trattamento dell'ipertensione:

 

    • Biofeedback e Ipertensione: evidenze scientifiche

 

Sino ad oggi sono stati condotti diversi studi che dimostrano l'efficacia del biofeedback nel trattamento dell'ipertensione. Vediamo alcuni dei più importanti:

Brook et al. (2013) Secondo l'American Hearth Association, che ha condotto uno studio importante volto a stabilire i livelli di efficacia di vari trattamenti comportamentali per l'ipertensione, il Biofeedback dovrebbe essere considerato nella pratica clinica come strumento per l'abbassamento della pressione sanguigna , assegnando al biofeedback la classe d'intervento 2B e il livello di efficacia B.

Carthy et al. (2014) hanno dimostrato che i pazienti con ipertensione moderata sottoposti a stimoli stressanti mostrano un aumento della pressione arteriosa piu elevato rispetto agli individui normotensivi; ciò, secondo gli autori, dimostra la presenza di un sistema nervoso simpatico ipereccitabile e un sistema parasimpatico ipoattivo negli ipertesi. Secondo gli autori alla patogenesi dell'ipertensione contribuiscono le alterazioni del sistema nervoso autonomo (simpatico e parasimpatico). Come abbiamo visto tali alterazioni sono legate all'iper-reattività agli stress psicologici tipica degli individui normotesi che con maggiore probabilità svilupperanno l'ipertensione

Matthews et al. (2004) hanno condotto uno studio su più di 4000 persone normotese di età media di 27 anni alle quali veniva misurata la pressione sanguigna durante la presentazione di diversi stress psicologici e fisici; è risultato che le persone che di fronte agli stressor mostravano aumenti di pressione più grandi, a distanza di 4-13 anni hanno sviluppato una ipertensione essenziale. Ciò suggerisce un ruolo importante dello stress e della sensibilità soggettiva agli stressor psicologici nella patogenesi dell'ipertensione essenziale o primaria.

Oneda et al. (2010) hanno dimostrato che il biofeedback respiratorio è in grado di ridurre l'attivazione del Sistema Nervoso Simpatico e di ridurre la pressione sanguigna in modo più marcato negli individui con ipertensione.

Yucha et al (2001) hanno eseguito una meta-analisi di 23 studi compiuti tra il 1975 e il 1996 dimostrando che gli individui sottoposti al biofeedback training, rispetto al gruppo di controllo, mostrano una significativa riduzione sia della pressione sistolica (6,7 mmHg) che della diastolica (4,8 mmHg).

Yucha e Gilbert (2004) riportano una seconda meta-analisi di 22 studi randomizzati e controllati (per un totale di 905 persone con ipertensione primaria) pubblicati tra il 1966 e il 2001, che supportano questi risultati (Nakao et al. 2003). In confronto con controlli senza intervento, il biofeedback ha portato a una riduzione significativamente maggiore della pressione sistolica (7,3 mmHg) e della pressione diastolica (5,8 mmHg). Rispetto ad altri interventi comportamentali, le riduzioni nette di SBP e DBP non erano statisticamente differenti.

Altri studi mostrano risultati simili rispetto ai gruppi di controllo (Nakao et al., 1997). Il Biofeedback sembra funzionare altrettanto bene per le persone con ipertensione da camice bianco (cioè che manifestano pressione alta solo in ambiente medico e non in altri)  come per quelle con ipertensione primaria (Nakao et al. 2000) e per quelle con e senza danno d'organo secondario alla loro ipertensione (Nakao et al., 1999). Il training di biofeedback in laboratorio seguito dal training a casa è particolarmente efficace anche secondo (Henderson et al. 1998).

 

  • Meccanismi neurofisiologici sottesi

Secondo alcuni autori a svolgere un ruolo primario nell'ipertensione è uno squilibrio nell'attivazione del sistema nervoso autonomo (Mancia et al. 1997; Brook and Julius, 2000; Mahtani et al. 2012), ciò che costituisce un effetto tipico delle condizioni acute o croniche di stress; più precisamente l'iperattivazione del sistema nervoso simpatico (e la contemporanea riduzione dell'attività antagonista parasimpatica) sensibilizza i barocettori che mediano il baroreflex (e cioè il riflesso che consente ai vasi sanguigni di compensare aumenti e riduzioni eccessive di pressione sanguigna costringendo e dilatando i vasi sanguigni) resettando il loro valore soglia di attivazione (Radaelli et al. 1994). E' come se i barocettori, in seguito all'iperattivazione simpatica (causata da situazioni stressanti) si sfasassero e interpretassero il normale livello di pressione come "pressione bassa", comandando erroneamente alla muscolatura liscia dei vasi sanguigni di contrarsi di più per compensare quella inesistente bassa pressione, determinando in tal modo valori pressori superiori alla norma.

In questo caso il Biofeedback respiratorio o anche l'HRV-Biofeedback può produrre una desensibilizzazione dei barocettori riportandoli a valori di attivazione ottimali.